Il nodo che i delegati delle ottanta Camere di commercio italiane all’estero, riuniti in questi giorni ad Ancona, si propongono di sciogliere è stretto ma non così tanto da impedirne la possibilità. Il tema affrontato è come restituire centralità all’Associazione nelle politiche d’internazionalizzazione di un Paese nel quale anche la più sperduta pro loco s’incarica di organizzare missioni oltre confine. Lo svolgimento non è dei più semplici anche considerando la ristrettezza delle risorse pubbliche erogate, quest’anno calate del 50 per cento (in tutto poco meno di 6 milioni) e incidenti sul fatturato complessivo del sistema per meno del 20 per cento. Naturalmente, questa circostanza ha un risvolto positivo nella necessità di trovare sostentamento nel settore privato che conduce a migliorare efficienza e performance rendendo il circuito camerale all’estero un’interessante infrastruttura ben ramificata nel mondo e a basso costo per la collettività. Un punto di forza che sarebbe difficile negare. Organismi misti per definizione (possono associarsi sia imprese italiane all’estero che imprese estere) questa speciale istituzione può realmente svolgere il compito – e in gran parte già lo fa – di aggregare domanda e offerta imprenditoriale funzionando da guida e sostegno soprattutto alle piccole imprese che volessero affacciarsi fuori dei confini nazionali. Non a caso, sono quasi trentamila le aziende associate in tutto il mondo per un ammontare di contatti d’affari valutato in trecentomila. Una bella ramificazione e un numero importante che potrebbe ulteriormente crescere se il Paese dovesse decidere di puntare con più decisione su questa particolare costellazione pubblico-privata. Sul tasto battono con forza tutti i responsabili dell’organizzazione: in testa i presidenti di Assocamerestero e Unioncamere Leonardo Simonelli e Ferruccio Dardanello, seguiti da quelli dislocati in terra straniera. Insieme, chiedono una maggiore legittimazione in patria e un più alto coinvolgimento fuori rivendicando la bontà dei risultati conseguiti. Un piccolo-grande motivo di attrito con i ministeri di riferimento (Estero e Industria) riguarda l’attività svolta da Agenzie statali, come per esempio l’Ice, verso cui si nutre un sentimento di odio e amore a seconda che le iniziative realizzate sui territori si configurino come concorrenti o collaborative e dunque rispettose delle reciproche prerogative. Gli interlocutori istituzionali presenti,Andrea Meloni per gli Esteri e Giuseppe Tripoli per le Attività produttive, cercano di gettare acqua sul fuoco delle polemiche pur ammettendo che un problema di coordinamento esiste e va affrontato. Tripoli, in particolare, appare ben convinto del ruolo che il modello camerale estero può giocare a favore del Paese e lo dice apertamente. Ma l’endorsment non è gratuito. In cambio del rispetto richiesto le Camere dovranno migliorare la propria comunicazione interna ed esterna, farsi riconoscere come punti di riferimento, puntare con più convinzione sulla loro specifica qualità di soggetti fatti da imprenditori per altri imprenditori e dunque parlanti una stessa lingua impastata di chiarezza e concretezza.