Chi getta la spugna e chi la raccoglie

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Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi lo va ripetendo con un’insistenza che meriterebbe maggiore fortuna: occorre fare attenzione al pericoloso venticello che continua a correre in Italia contro il sistema delle imprese. Un venticello tanto più insidioso quanto più si diffonde a dispetto della retorica ufficiale che presenta un paese finalmente grato alle fonti della propria ricchezza. Squinzi si rivolge in particolare a quegli ambienti dell’opinione pubblica e della magistratura pronti a condannare senza appello qualsiasi comportamento che appaia in contrasto con il bene comune facendo apparire l’intera classe imprenditoriale come miope, arraffona, arrogante. In assenza di regole certe appare assai difficile potersi districare e la presunzione di colpevolezza fa il resto. Al Sud le cose peggiorano perché all’incertezza normativa e alle vessazioni della burocrazia si aggiungono le pretese della bassa politica, della piccola amministrazione vorace, del vero e proprio malaffare. Per tutti costoro – criminali, funzionari corrotti, politicanti – le imprese non sono altro che mucche da mungere. Per quelle che pagano le tasse, le migliori, si tratta di sopportare una vita di salassi. In queste condizioni appare chiaro perché è in atto una selezione avversa che mette fuori campo i giocatori corretti e richiama nell’arena i più spregiudicati. Chiunque abbia avuto l’avventura di mettere in piedi un’azienda o ne abbia dovuto modificare l’assetto o si sia spinto a effettuare (alleluia) qualche assunzione o abbia avviato una qualsiasi altra attività, conosce bene le forche caudine che gli sono riservate. L’imprenditore a quel punto è in balia di tanti aguzzini quanti sono i permessi, le licenze, le autorizzazioni che deve richiedere e che sono sempre tante, assolutamente troppe. Non c’è passaggio che non richieda un interessamento che vada al di là della semplice presentazione della domanda. Tutto va seguito con tatto e sensibilità particolare se non si vuol restare nel limbo dell’attesa eterna. E c’è ancora chi si meraviglia se la gente per bene getta la spugna e qualcun altro la raccoglie?

di Alfonso Ruffo