Uno studio di Datamedia pubblicato questa estate – provocato dalla doppia vendita da parte dell’inglese Pearson del Financial Times alla giapponese Nikkey e di una fetta rilevante dell’Economist alla Exor di John Elkann capofila della famiglia Agnelli – mette a confronto le grandezze dei primi editori di giornali al mondo in termini di fatturato e quindi di potenza da scaricare sui mercati della politica e dell’economia. Che cosa si scopre? In cima alla lista c’è l’impero News Corp di Rupert Murdoch (Times, The Sun, New York Post e Wall Street Journal per citare le testate più conosciute) con oltre 8,5 miliardi di dollari. Subito dopo c’è il gruppo Pearson con poco meno di 5 miliardi di sterline nonostante la cessione dei suoi gioielli più preziosi. Al terzo posto si colloca la conglomerata tedesca Axel Springer (famosa per pubblicare Die Welt e Bild) con poco più di 3 miliardi di euro. Segue la New York Times Company, che porta in edicola il quotidiano omonimo, con circa 1,5 miliardi di dollari. A questo punto fanno capolino due campioni nazionali: la Rizzoli Corriere della Sera con meno di 1,3 miliardi di euro e il Gruppo L’Espresso con quasi 650 milioni. L’Economist e il Guardian chiudono la serie con poco più di 450 e poco meno di 300 sterline di giro d’affari. Bene. Come si vede editare giornali è un lusso per colossi con enormi mezzi propri, in grado di sopportare alti indebitamenti e per i quali il credito bancario non manca mai. Qual è l’anomalia italiana? Se negli altri paesi il compito di concepire, realizzare e vendere giornali è assolto da chi svolge questo mestiere (editori puri), in Italia il campo è da sempre ingombro da soggetti che hanno uno o più interessi principali (auto, costruzioni, credito, finanza, assicurazioni, sanità…) cui si accompagna il vezzo di stampare carta e che per differenza sono chiamati impuri. Come garantire una concorrenza possibile nelle condizioni date è un argomento molto delicato e attuale dal momento che tocca la libertà di espressione. Fare giornali non è più una questione di qualità e competenza ma di capacità di spesa.