Il merito del ciuccio

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Chi ha detto che per riconoscere un eroe c’è bisogno di un eroe ci invita a riflettere sul fatto che per riconoscere un campione ci vuole un campione e che per riconoscere un uomo di valore c’è bisogno di un uomo di valore. Questo per tornare sul concetto appena accennato sullo scorso numero del Denaro nell’articolo di fondo dedicato alla memoria di Giancarlo Siani a trent’anni dalla sua morte violenta: allora come ora, è questa una società in grado di riconoscere e premiare il merito? L’esperienza insegna che no: di tutto è capace questa società tranne che di riconoscere il merito e premiarlo in maniera adeguata. Riconoscere e premiare, badiamo bene, sono due azioni diverse e non sempre la seconda segue la prima. Ammesso infatti che un merito sia riconosciuto, che nella cieca mediocrità nella quale ci siamo condannati a vivere ci sia ancora qualcuno nelle condizioni di cogliere la differenza tra un somaro e un cavallo di razza, non è detto che il secondo sia preferito al primo. Anzi, la solita vecchia esperienza allinea di fronte a noi una lunga serie di circostanze nelle quali il brocco è consapevolmente scelto a scapito del capace. Essere bravi e ancor più essere stimati come tali può essere considerato una minaccia. Come si fa in queste condizioni a gettare le basi per una ripartenza civile, politica, economica, senza la quale Napoli e il Mezzogiorno (ma potremmo allargare all’intero Paese) rischiano di incamminarsi lungo un declino lento e doloroso? I giovani che abbandonano il Sud e lasciano l’Italia vanno alla ricerca di un’occasione; della possibilità di mostrare le proprie abilità a soggetti disposti a giudicare senza pregiudizi e privi del timore che da noi la buona preparazione e la giusta disposizione d’animo incutono. Per tornare al punto di partenza: quanti Giancarlo Siani, ventenni e trentenni di prima scelta, possono sperare d’incontrare interlocutori attenti, culturalmente attrezzati, di elevato spessore umano e professionale, senza dover passare per il sacrificio della propria vita?

di Alfonso Ruffo