La lezione di LKW: tre volte il merito

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Quando gli domandavano a che cosa imputasse il successo del suo modello di governo, il padre fondatore e per tanti anni presidente della nuova Singapore Lee Kuan Yew, scomparso di recente all’età di 91 anni, rispondeva con una semplice parola ripetuta tre volte: meritocracy, meritocracy, meritocracy. Meritocrazia, sarebbe meglio dire meritevolezza, ossia riconoscimento del merito come valore fondante della società.Ma per davvero e senza eccezioni. Con premi riconoscibili per chi s’impegna ed eccelle e punizioni esemplari per chi mette a repentaglio la sicurezza, il buon andamento degli affari, la salute privata e collettiva. Preso ad esempio da Deng Xiaoping alle prese in Cina con il dopo Mao, ammirato da Henry Kissinger che lo considerava l’asiatico più intelligente che avesse mai conosciuto, emulato da Margareth Tatcher che non si perdeva nessuno dei suoi discorsi, LKW ha rappresentato un’eccezione straordinaria che può mettere in crisi la regola. Certo, i suoi metodi bruschi e autoritari, le pene corporali inflitte per certi tipo di reato particolarmente odiosi, l’inflessibilità del suo giudizio, sarebbero difficilmente riproducibili nelle democrazie occidentali. Ma è un fatto che per trentuno anni di fila è stato sempre rieletto a grande maggioranza e che il Paese non ha mai fatto a meno di lui. Neanche nella più tarda età quando continuava a seguire gli aventi – e l’ha fatto fino al termine dei suoi giorni – con il titolo onorifico di ministro Mentore, un tutor speciale capace di consigliare, vedere e prevedere facendo leva sull’enorme reputazione locale e internazionale guadagnata in cinquantacinque anni di azione continua. Da villaggio di pescatori con una ricchezza per abitante tra le più misere, la Città Stato che seppe rendersi autonoma dalla Malesia vanta oggi il settimo maggior pil procapite del mondo con 62.000 dollari (52.000 gli Stati Uniti). La sua pubblica amministrazione è la più ammirata in assoluto, la corruzione interna è vicina allo zero. L’ideologia dominante? Non averne alcuna. Unica preoccupazione, il risultato da raggiungere. Con un insegnamento da non sottovalutare: se davvero si vuole, cambiare si può.

di Alfonso Ruffo