Le camorre di Napoli

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Il botta e risposta a distanza tra il presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi e il sindaco di Napoli Luigi de Magistris piccato per la dichiarazione della prima sulla camorra come dato costituivo della città porta in prima piano un problema che tutti conoscono e nessuno affronta con il dovuto vigore. La camorra, le camorre, la mafia, le mafie esistono per davvero in larghe parti del Mezzogiorno o sono il frutto di una narrazione che ha fatto il suo tempo? E, se esistono, in che modo interagiscono con il territorio circostante? E ancora, domanda centrale, che rapporto hanno con più o meno larghe fette della popolazione locale? Sostenere, come qualcuno ha forzato il pensiero della Bindy, che la camorra sia nel Dna di Napoli è di certo fuorviante e la stessa parlamentare ha smentito di aver usato quella parola e quel concetto. Ma negare che una particolare forma di violenza e arroganza condizioni la vita economica e sociale del Sud vuol dire chiudere occhi e orecchi. E’ vero, la camorra come onorata società, con codici di comportamento e patti di lealtà ispiratori di commedie e canzoni anche di successo, non esiste più. Non c’è più nulla di romantico nel mestiere del guappo, del caporione, del mammasantissima cui la povera gente si rivolgeva per chiedere quella giustizia che lo Stato negava. Oggi l’imponenza degli affari, l’apertura internazionale che ha portato i malfattori meridionali a confrontarsi con organizzazioni assai più sanguinose e cattive, hanno selezionato una nuova classe spietata e assolutamente fuori controllo: non solo dell’autorità costituita ma finanche all’interno del proprio mondo dove la confusione regna sovrana. A dar credito alla mappa disegnata dai cronisti di nera a ogni nuovo morto ammazzato, nel solo capoluogo campano si affrontano oltre cento clan necessariamente piccoli e l’uno contro l’altro armati. Un modello così frammentato da confondere anche le forze dell’ordine che dovrebbero fronteggiarlo. La loro presenza è così pervasiva da averci fatto quasi il callo. E’ un dato, conosciuto, scontato, non eludibile, che in certe ore del giorno, in certi giorni della settimana, in certe parti della città ma anche al centro, a farla da padrone sono bande di ragazzini che non temono niente perché niente verrà contestato per le loro scorribande. Si è ringiovanito il crimine a Napoli perché il modello del malommo, ricco e potente per la sua capacità di gabbare la legge, è l’unico a colpire la fantasia e a condizionare i comportamenti di chi non intravede altra luce per coltivare i propri interessi, essere rispettato, farsi strada nel mondo. E guadagnare tanto per i propri sfizi. Tutto questo esiste ed è purtroppo percepibile. A Napoli la camorra o il suo succedaneo si fa ancora vedere per strada. Poi ci sono i colletti bianchi e tutti coloro che usano l’intimidazione per avere ragione o corrompono per avere appalti in un gioco ormai diventato nazionale come dimostrano certe notizie che vengono dal centro e dal nord. La camorre dunque ci sono e dobbiamo farci i conti tutti i giorni. La ricetta per sgominarle esiste perché altrove ha funzionato. Passa per la tolleranza zero nella repressione (altro che indulgenza…) e nella costruzione di uno Stato amico dei suoi cittadini capace di infondere fiducia, riconoscere la qualità, premiare il merito.

Pubblicato sul Sussidiario.net del 15 settembre

di Alfonso Ruffo