Le dichiarazioni del presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano sulla mancanza di attenzione e progetti per il Mezzogiorno e sulla caduta libera di Napoli non fanno che confermare quello che tutti sanno perché di evidenza palese. La domanda che dobbiamo porci, adesso, è se saremo in grado di risalire la china piuttosto che intentare l’ennesimo inutile processo ai colpevoli veri e presunti. L’ex Capo dello Stato chiama in causa la borghesia, che vorrebbe strappare alla sua distrazione o indifferenza, chiedendole di far sentire la propria voce ed esercitare l’influenza che il rango legittimerebbe. Imprenditori, professionisti, intellettuali dovrebbero mettersi alla testa di un moto di ribellione che riscatti il Sud e la sua città simbolo da un declino in apparenza inarrestabile. Appelli come questi non sono nuovi. Da sempre quando le cose s’ingarbugliano si lanciano appelli alle forze sane della società perché si facciano classe dirigente e assumano sulle proprie spalle la responsabilità dell’interesse comune. Di tanto in tanto, e mai in numero sufficiente a fare massa critica, qualcuno accoglie l’invito e ci prova. Con risultati che l’esperienza consegna alla marginalità. Per contare davvero qualcosa, il fronte della borghesia dovrebbe mostrarsi ed essere compatto e combattivo. Non basta e non serve che qualcuno ceda alle lusinghe e si faccia coinvolgere a titolo personale. Occorre formare una classe, definire un progetto, attivare strumenti per passare dalle parole ai fatti e svolgere il ruolo che la storia e le circostanze assegnano di solito ai più fortunati. Il tema è come smontare la macchina della selezione avversa, per dirla con gli economisti, impostata per inviare persone sbagliate nei posti sbagliati. Per riuscire nell’intento ci vorrebbe almeno un patto sulla qualità e la competenza dei soggetti chiamati a gestire la cosa pubblica. Un accordo per la sopravvivenza, minima condizione possibile per immaginare e poi meritare il futuro che vorremmo avere.