Premiare i più forti per aiutare i deboli

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Il bicchiere non è certamente mezzo pieno ma nemmeno del tutto vuoto. Diciamo, riempito per almeno un quarto. E da qui bisogna ripartire se si vuole dare un minimo di credito alla possibilità che il Paese torni presto a dissetarsi tutto. Questo il senso dell’iniziativa organizzata dall’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà che nella settimana appena trascorsa ha intrapreso il suo viaggio in Italia cominciando dalla Campania. Prossima fermata, la Lombardia. L’organismo, che riunisce circa trecento tra deputati e senatori di ogni parte politica, è oggi guidato da Raffaello Vignali e Guglielmo Vaccaro che hanno rispettivamente rilevato l’incarico dai fondatori Maurizio Lupi ed Enrico Letta. Che cosa propongono dunque i rappresentanti di questa formazione per definizione bipartisan? Come emerge anche dalla cronaca che pubblichiamo all’interno, l’idea è iniettare un po’ di fiducia nella società facendo luce sul buono che c’è. Ecco, il punto di attacco del ragionamento di Vaccaro e Vignali è proprio questo: premiare i forti, incoraggiare i bravi, perché siano capaci di tirarsi dietro chi arranca in un sistema che non dimentichi di agganciare anche i più deboli. Insomma, sembrerebbe un programma di buon senso e in un posto normale non se ne dovrebbe forse nemmeno parlare. Assume invece un valore rivoluzionario in un luogo dove l’occupazione principale è scassare quello che funziona. Le tappe del tour campano – Porto, sistema Cis-Interporto-Vulcano, Associazione degli Industriali, Polo agroalimentare, Cira – sono indicative, ma non esaustive, dell’interesse per quei settori dell’economia che nonostante tutto emettono segnali di vitalità. La filosofia dell’intervento, che nelle intenzioni dei proponenti si sostanzierà in interventi di legge diretti ad alleviare la fatica di fare impresa, è difendere il buono che c’è piuttosto che lasciarlo andare alle ortiche per poi lamentarsene. È un esercizio di cura e manutenzione che meriterebbe maggior condivisione per evitare di perdere il poco che resta, impedendogli di esistere, per il gusto di andare alla ricerca di quello che non c’è ma ci sarebbe se non lo avessimo perso. Ci siamo capiti.

di Alfonso Ruffo