SE ANCHE IL PRESIDENTE CAMPANO degli industriali, Sabino Basso, medita di abbandonare il Paese per continuare a produrre (come emerge dall’intervista rilasciata a questo giornale) qualcosa davvero non va. Qualcosa molto grave che descrive quanto sia alta la febbre che rischia di ammazzare l’ammalato. Basso, in particolare, denuncia il trattamento riservato agli imprenditori da parte di pubblici ufficiali e forze dell’ordine nel corso delle loro attività di controllo. C’è una presunzione di colpevolezza, questo il senso dei rilievi, e il malcapitato si sente giudicato come un criminale prima ancora che la verifica sia compiuta. Si tratta, evidentemente, di un bel po’ di gocce che concorrono a far traboccare il vaso della pazienza. Stretti nella morsa di una domanda quasi nulla e da condizioni di contorno sfavorevoli (vedi anche alla voce diseconomie esterne) sempre più imprenditori meditano di abbandonare il campo e creare ricchezza altrove. Certo, proprio Confindustria potrebbe avere un ruolo nel ridefinire i contorni del rapporto con la pubblica amministrazione in tutte le sue forme ed espressioni. Il grido d’allarme di un suo dirigente mette in risalto la criticità del momento e forse l’impossibilità di cambiare uno stato di cose cristallizzato. Sembra quasi che le azioni siano indipendenti dalle intenzioni e di queste assai più forti. Per quanto ci si sforzi d’invocare una società più equilibrata e rispettosa delle prerogative di ciascuno vince sempre l’istinto di sopraffazione di una parte sull’altra. Chi ha il coltello per il manico non manca di farlo notare. In queste condizioni tutto diventa faticoso. L’incessante attività d’interdizione di tutti contro tutti, il nobile godimento per le altrui difficoltà, il piacere di poter assestare quando possibile il colpo di grazia, portano la nostra civiltà all’età della pietra senza che sia nemmeno richiesto l’impegno fisico dell’antica selezione naturale. Non il più forte ma il più cattivo è il vincitore di oggi. E così perdiamo tutti.